Londra torna a essere teatro di campagne contro lo sfruttamento animale: dopo il cartellone che in metro metteva in risalto il numero di animali che muoiono per l’industria alimentare (322 mila) negli otto secondi che servono per leggerlo, è la volta di una campagna antispecista comparsa in questi giorni nelle strade della City, dove rimarrà per le prossime settimane.
I cartelloni, opera dell’associazione “Speciesism WTF”, mostrano una donna attaccata a un macchinario tira latte, un evidente parallelismo con i milioni e milioni di animali coinvolti nell’industria lattiero-casearia. Un’esortazione per i londinesi a fare la connessione, a capire la brutalità di quanto accade all’interno degli allevamenti intensivi.
Naturalmente, l’idea di fondo di questa campagna è di creare un messaggio disturbante, che in qualche modo possa apparire sbagliato, semplicemente perché coinvolge un essere umano. L’obiettivo è puntare i riflettori sul pensiero specista che permea la nostra visione del mondo, che ci lascia indifferenti di fronte alle aberrazioni compiute su miliardi di animali, ma che lascia il segno al pensiero che sia compiuto su “uno di noi”.
Le reazioni per la campagna animalista
“Mi è venuta l’idea di creare un progetto che si concentri principalmente sul mettere i soggetti umani nelle stesse situazioni barbare e ingiustificabili a cui sono sottoposti gli animali non umani dall’industria zootecnica” ha dichiarato la fondatrice dell’associazione, Stephanie Lane.
Quest’ultima, ex regista, ha scelto di avvicinarsi a questo tipo di comunicazione quando si è resa conto della resistenza collettiva nel parlare e soprattutto nel mostrare la realtà degli allevamenti. La stessa resistenza che, dichiara, ha incontrato nel momento in cui ha cercato uno spazio per la propria campagna: “È a dir poco ipocrita che molti dei principali spazi pubblicitari di Londra pubblicizzino annunci di lingerie o bikini con giovani donne altamente sessualizzate, ma trovino la nostra campagna “rischiosa“, ha detto, aggiungendo che “se il pubblico può conoscere lo specismo attraverso questo tipo di campagne e riconoscere che gli animali non umani provano dolore e sofferenza proprio come gli umani, allora questo è un passo nella giusta direzione“.
Il problema del consumo di latte: la questione etica
Il latte, da sempre, gode di una “ottima fama” che cela quello che davvero sottostà alla produzione di questo alimento. La produzione di latte, esattamente come in qualsiasi allevamento, priva della libertà e costringe milioni di animali a vivere in condizioni di estremo sfruttamento, vere e proprie macchine da produzione al servizio dell’uomo.
La vita media di una vacca sarebbe di 20 anni, ma in allevamento si riduce inevitabilmente a 4 o 5, per via di sfruttamento estremo e malattie. E poi? Quando una vacca “da latte” non produce più viene mandata al macello.
E, postilla, non esistono animali da latte: vacche, capre o asine ne producono solo se incinte (e per questo sono ingravidate artificialmente per farlo).
Per approfondire: Perché i vegani non bevono il latte?
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